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La ricca ereditiera e mecenate americana Peggy Guggenheim giunse in laguna nel secondo dopoguerra; nel 1948 acquistò il palazzo Venier dei Leoni, dove trascorse gli ultimi decenni della sua vita.

Dal Canal Grande si scorge la facciata di questo palazzo non finito, con ai lati nel basamento teste di leone ed al centro ampia terrazza attraverso le cui porte in ferro battuto si intravede una opera in bronzo, un uomo a cavallo, nudo, con le braccia aperte, L’Angelo della Città di Marino Marini del 1948.

L'angelo della città, Marino Marini, 1948

L’Angelo della Città, Marino Marini, 1948

L'angelo della città, Marino Marini, 1948, dettaglio

L’Angelo della Città, Marino Marini, 1948, dettaglio

Fu una delle prime opere italiane che Peggy acquistò al suo arrivo in Italia. Peggy infatti aveva ricambiato a Milano la visita ad un signore inglese Maurice Cardiff e consorte che aveva conosciuto poco prima a Ca’ Dario a Venezia.

Il pistoiese Marino Marini, all’epoca dell’acquisto quasi cinquantenne, era un artista e scultore affermato, famoso.

Ricordo come la prima volta che osservai la scultura non riuscii a capirne il titolo, non vedevo la connessione tra un angelo e questo poderoso cavallo, rassicurante nelle sue forme, con un uomo dalle forme ‘pesanti’.

Marino Marini, il più importante scultore italiano del Novecento, studiò pittura e scultura all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, poi nel primo dopoguerra si recò a Parigi, dall’inizio del secolo centro delle avanguardie artistiche. Negli anni Venti si dedicò soprattutto alla scultura, prima a Firenze poi a Milano, dove ottenne la cattedra di scultura alla Scuola d’Arte di Villa Reale a Monza. Dopo un secondo soggiorno parigino, gli anni Trenta videro la sua ascesa ed una serie di viaggi di cui uno a Bamberga. Durante il secondo conflitto mondiale si trasferì in Svizzera, nella città natale della moglie che aveva spostato nel 1938 (Marini la chiamava affettuosamente ‘Marina’ a sottolineare il loro essere un tutto uno). Nel 1948 tornò a Milano, dove riprese ad insegnare, ricoprendo la cattedra all’Accademia di Brera a Milano.

Durante il suo viaggio a Bamberga era rimasto colpito dal Cavaliere di pietra o di Bamberga appunto, scultura gotica del XIII secolo. Il cavaliere di Bamberga, opera di grande equilibrio formale e ideale, esprime la nobiltà della vita di un cavaliere medievale, integro, leale, difensore dei deboli.

Questo fu il là per la sua lunga e fortunata serie di sculture denominate Cavallo e Cavaliere, in cui Marini approfondì il soggetto equestre, un tema classico della nostra tradizione.

All’inizio il cavaliere è padrone del suo animale, nelle opere ultime Marini giunge a ribaltare i soggetti ed esprimere la precarietà e lo squilibrio dell’uomo contemporaneo. Il tema compare per la prima volta nel 1936; le proporzioni di cavallo e cavaliere sono ancora equilibrate, le figure emettono un senso di calma e tranquillità.

La Collezione Guggenheim dedica una bellissima mostra a Marino Marini, Visual passions, Passioni visive, fino al 1 maggio 2018. Non si tratta di una retrospettiva, ma di un dialogo tra 70 opere, un percorso alla riscoperta delle fonti che ispirarono l’artista dalla scultura etrusca, greca, antica orientale, a Manzù, Rodin e Henry Moore.

All’ingresso ci attende Gentiluomo a cavallo del 1937 con un cavallo rappresentato stante in posizione usuale ed un uomo a braccia conserte a cercare il proprio centro.

Gentiluomo a cavallo, Marino Marini, 1937

Gentiluomo a cavallo, Marino Marini, 1937

Dopo una serie di sale si giunge alla sala dei cavallini in terracotta e ceramica che Marini aveva sviluppato negli anni Quaranta in Svizzera.

Piccolo cavaliere, Marino Marini, 1943

Piccolo cavaliere, Marino Marini, 1943

Nella sala successiva il cavallo viene rappresentato mentre inizia a scalpitare ed il cavaliere perde piano piano la sua compostezza. Le forme si fanno più semplici ed arcaicizzate e le proporzioni più tozze.

Il cavallo inizia ad indietreggiare, il cavaliere si inclina indietro come dimostra quest’opera del 1947.

Cavaliere, Marino Marini, 1945

Cavaliere, Marino Marini, 1945

Poi una scultura del 1947 in gesso policromo, il cavallo volge lo sguardo indietro, il cavaliere che presenta una serie di fasce nere sul petto, si scompone anche lui.

Cavaliere, Marino Marini, 1947

Cavaliere, Marino Marini, 1947

Il cavaliere inizia a perdere il controllo del suo animale.

Cavaliere, Marino Marini, 1947

Cavaliere, Marino Marini, 1947

I cavalieri di Marini piano piano si umanizzano e diventano l’antieroe, diventano cavalieri antimoderni, i ruoli si sono invertiti.

Questo percorso si concluderà con le opere Miracolo, con forme dissolte, quasi irriconoscibili e linee nette.

dettaglio di un Cavaliere

dettaglio di un Cavaliere

Cavaliere, Marino Marini, 1947

Cavaliere, Marino Marini, 1947

l’Angelo della Città nella terrazza di Peggy del 1948 si pone prima della fine di questo percorso.

Come spesso alla fine degli anni Quaranta il cavallo è radicato nel terreno, è immobile, il collo è allungato, le orecchie piegate all’indietro. Avvicinandomi noto la bocca aperta, per dare l’idea di forza.

Cavallo e cavaliere esprimono energia, gioia di vivere, gioia della rinascita. Alcuni studiosi parlando della ritrovata fiducia nell’uomo dopo le tragedie del secondo conflitto mondiale.

Angelo della città, Marino Marini, 1948

Angelo della città, Marino Marini, 1948

Con piacere Vi guido nella visita alla collezione permanente di Peggy Guggenheim, raccontandoVi anche molti divertenti anneddoti di Jean Arp e Somerset Maugham rispetto all’Angelo della Città che suscitò scandalo.

Fiona Giusto
www.venicetours.it

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